Van Gogh non inventa, non aggiunge, non trasforma. Lui, semplicemente, ci offre se stesso, nonostante tutto.
Nonostante la depressione che lo costringeva a periodi di inedia e smarrimento. Nonostante il non-successo delle sue opere.
Nonostante i sogni che, uno per volta, si infrangevano tra le zolle della Provenza.
Nonostante tutto questo Van Gogh è protagonista del suo tempo e della storia perché…
Chi mi conosce sa che ho una certa passione per le serie televisive. Brevi o lunghe, mi appassiono alla vita dei personaggi. Mi piacciono i colpi di scena, l’invenzione della realtà, le colonne sonore strappa lacrime. Una di quelle che negli ultimi anni ha riempito il mio tempo libero è Doctor Who, storica serie televisiva britannica. Nata nel 1963 racconta le avventure di un Signore del tempo che viaggia nello spazio e nel tempo attraverso il Tardis, una macchina del tempo dalla forma di cabina blu della polizia inglese.
In uno di questi viaggi spazio temporali, Il Dottore (così ha scelto di farsi chiamare questo Signore del tempo) atterra nel 1890, in Provenza dove incontra Vincent Van Gogh e lo aiuta a sconfiggere un immaginario mostro che vede solo lui.
Credo che questa sia una delle letture più corrette, seppur fantastica, dell’arte e della vita di Van Gogh: un uomo che percepisce la realtà in modo assolutamente soggettivo.
Nato in Olanda nel 1853, era figlio di un religioso e nipote di commercianti di oggetti artistici. Per questo Vincent, le sue sorelle e i suoi fratelli, ricevettero una forte influenza da arte e religione. Il percorso che portò Vincent alla pittura fu, però, travagliato e ricco di fallimenti. Questo però non riuscì ad abbatterlo e, dopo tanti fallimenti, prima come pastore, poi come commerciante decise di tentare come artista: “A dispetto di tutto, mi alzerò ancora una volta”.
Nonostante la buona volontà, però, resterà per tutta la vita un pittore povero, deriso e poco apprezzato, con molti momenti di forte depressione, considerato folle da tanti.
Il suo particolare punto di vista, il suo modo di approcciarsi alla realtà e relazionarsi col mondo e una sorta di inettitudine, di incapacità a vivere hanno contraddistinto non solo il suo aspetto relazionale ma soprattutto quello artistico. Tanti limiti nell’approccio sociale hanno corrisposto, per lui, a tante capacità nella relazione e nell’espressione artistica.
Perché Van Gogh non vedeva, sentiva e questo sentire metteva in discussione, spaventava, disturbava.
Colori, sfumature, eccessi
Ciò che può descrivere meglio tutto questo è l’uso dei colori che, a chiunque si imbatta in un dipinto di Van Gogh, possono apparire a tratti eccessivi, pastosi, grezzi, potenti.
In una lettera che scrisse al fratello Theo, da Arles, l’11 agosto 1888 dice: “…perché invece di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo più arbitrario, per esprimermi con più intensità.”
Un eccesso di colore che ci offre una visione del mondo estremamente realistica che, seppur in contatto con l’esperienza quotidiana della realtà, la trasforma e ce ne consegna un’interpretazione personale e unica.
Un colore che esce dalle forme per esprimersi in maniera autonoma, libera.
Van Gogh non inventa, non aggiunge, non trasforma. Lui, semplicemente, ci offre se stesso, nonostante tutto.
Nonostante la depressione che lo costringeva a periodi di inedia e smarrimento. Nonostante il non-successo delle sue opere.
Nonostante i sogni che, uno per volta, si infrangevano tra le zolle della Provenza.
Nonostante tutto questo Van Gogh è protagonista del suo tempo e della storia perché ci permette di vedere con i suoi occhi la realtà che lo circonda, perché fa del suo presunto limite la maggiore risorsa della sua arte, perché ci frega: se infatti lo avessimo incontrato di persona, probabilmente lo avremmo scansato o al più compatito, invece ci conquista, ci affascina.
Il suo ambiente prediletto resterà sempre la campagna, la vita contadina, gli oggetti del lavoro. Una vita fuori dalla storia, personaggi vinti che mai potranno modificare la loro condizione. Sullo stesso piano gli oggetti: le scarpe, le sedie, i letti e le stanze. Nature morte, quotidiane, ferme.
A Vincent non interessa ciò che vede, ma ciò che sente, l’emozione che lo raggiunge, la storia rispetto all’apparenza. Per questo oggi riusciamo a vedere la sua anima.
C’è un dipinto che, tra i tanti, mi affascina ogni volta che lo vedo. Si tratta di Seminatore al tramonto (1888): un campo di grano ed un contadino che al calar del sole lancia le ultime manciate di semi. Il sole è maestoso, con un colore intenso e brillante. Il tutto apparentemente risulta statico, finché lo sguardo non si posa sul gesto compiuto dal contadino, un gesto che è allo stesso tempo semplice e estremamente vitale.
Ecco, questo dipinto racchiude in buona sostanza ciò che ho cercato di condividere con voi in questo articolo: è estremamente triste in quanto è perfettamente reale la percezione della vita immutabile del contadino ma, allo stesso tempo, rassicurante, perfino gioioso grazie all’uso, quasi improprio, dei colori che mettono in discussione la nostra prima impressione.
La puntata di Doctor Who si conclude in modo commovente. Il Dottore infatti porta Vincent nel futuro a visitare il Museo D’Orsay, il museo parigino che raccoglie le opere dei più grandi impressionisti, per cui anche parte di quelle di Van Gogh. Oltre a questo, che già basterebbe a sconvolgere il pittore e noi spettatori, il Dottore chiede a un critico presente in sala di descrivere l’opera dell’artista. L’emozione sale, la commozione pure.
Purtroppo è solo fantascienza ma certamente Vincent Van Gogh se lo sarebbe meritato.
“Per me è il più grande pittore tra tutti. Il più famoso, il più amato. La sua padronanza del colore è magnifica. Trasformò il dolore, il peso della sua vita tormentata in un’estatica bellezza. Il dolore è facile da rappresentare ma usare la collera e il colore per rappresentare l’estasi e la gioia e la grandezza del mondo, nessuno lo aveva mai fatto prima e forse nessuno lo rifarà mai.”
Vincent e il dottore – BBC 2010
Terrò nota di questo articolo
🙂 Grazie