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Buffalo Bella – Io sarò chi voglio

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Libri straordinari.

Che hanno la profondità per portarci dentro le storie di tanti, bambini e adulti, noi, i nostri compagni, i nostri vicini, colleghi, amici, persone che vivono l’esperienza dell’essere altro, non riconosciuti, spesso ricondotti a un’idea di normalità che tranquillizza solo chi normale pensa di esserlo.

Fu un colpo, un’esplosione

una bomba di notizia:

una lui

Chi cadeva dalle nuvole, chi pregava:

torna in te

una lei

Parole, solo parole, che essendo parole hanno l’altezza per elevarci oltre il nostro piccolo recinto, oltre quel pezzo di mondo che conosciamo o pensiamo di conoscere così bene. Parole che come una scala nel cielo ci portano sulle nuvole. Parole che una volta dette definiscono, finiscono la nostra identità.

Allo stato civile

non sanno come trattare

chi non sta in una sola casella

chi non sta in una sola vocale

Libri che verranno additati come pericolosi, perchè in effetti pericolosi lo sono. Come è pericolosa una chiave che apre nuove stanze, come una lente che permette di mettere a fuoco, come una primavera che sboccia, come la consapevolezza che ciò che pensiamo possa esistere, esiste veramente. In effetti  ciò che ci fa più para è ciò che esiste e che cerchiamo in tutti i modi di nascondere, negare, eliminare.

La diversità, per esempio, l’unicità, l’indefinibilità, le scelte, in fondo la libertà.

Anche di essere chi vogliamo, se essere noi stessi è riducibile a una scelta di volontà. Anche di essere lei invece che lui. Anche di amare chi porta le nostre stesse vocali.

io sono corso d’acqua

io sono questo corso d’acqua e scorro fino alla foce

là, io sono fiume

corrente contro marea

fino a che è l’oceano

immenso

dove nulla s’aggiunge,

nulla si toglie,

il riposo, la quiete,

la pace

e poi

né fiume

né corso d’acqua,

io sono l’onda

che traccio nell’oceano

io sono chi sono

io sarò chi voglio

Buffalo Bella

 

Buffalo Bella è un libro scritto da Olivier Douzou e tradotto magistralmente dalla bravissima Giusi Quarenghi, pubblicato da Edizione Settenove

Dal sito di Settenove:

“Ci sono persone che nascono e crescono sicure della propria identità – maschile o femminile – e il loro modo di vivere e comportarsi corrisponde alle aspettative del resto del mondo.
Ci sono persone, invece, che percepiscono di essere «altro » rispetto a ciò che appaiono e il loro modo di vivere più autentico e naturale non corrisponde a nessuna delle aspettative che la società ha su di loro.
Questa è la storia di una bambina appassionata di cowboy, che si diverte a confondere il lui e il lei, che qualcuno chiama Annabil, parafrasando Buffalo Bill, mentre lei preferisce farsi chiamare Buffalo Bella.

È un lui o una lei?
Se da bambina la confusione sembra un gioco buffo, crescendo la questione diventa tutt’altro che frivola.
Giocando con le rime e con le parole, Olivier Douzou e la traduzione italiana di Giusi Quarenghi narrano i dubbi di una bambina alla ricerca della propria identità.
Le vocali maschili, femminili e neutre, «o», «i», «a», «e», «u» sono sempre in grassetto, facilitando la lettura. Le illustrazioni, realizzate in nero, a matita grassa, evocano la ruvidità della narrazione e la sfocatura dell’identità che si va definendo.

Un libro raro, che ha avuto un grande successo in Francia, in grado di affrontare uno dei temi più spinosi e meno conosciuti della nostra epoca con poesia e serenità. “

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Goodnight, peeping Tom

Goodnight, peeping Tom è un lavoro performativo ideato da Chiara Bersanicon Marta Ciappina, Marco D’Agostin, Matteo Ramponi, che ambisce a dimostrare una tesi:
alla radice di ogni comportamento/desiderio sessuale
c’è una spinta sentimentale, una richiesta romantica.

Sono arrivato allo spettacolo stremato, dopo una giornata intensa di lavoro.

Faticosa fisicamente ed emotivamente. Ero chiuso e in difesa. Inoltre ero con due colleghi con disabilità, nulla di strano ma temevo di dovermi dividere tra spettacolo e cura.

Le parole di chi ci ha accolto, invece, come la giusta chiave, hanno aperto una prima breccia: Voi preoccupatevi solo di godervi lo spettacolo, al resto penso io.

E poi… senza troppe spiegazioni restituisco un po’ di ciò che ho ricevuto.

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Guardavo lui e vedevo me
Toccavo lui e sentivo io
Come di fronte a uno specchio, tra i suoi lineamenti ritrovavo qualcosa di me
Una storia passata, l’insicurezza dei primi passi, la paura di riconoscere un sentimento
Uno sguardo pesante, un desiderio ingombrante
Forgive me for my sins.

L’inaspettato è il desiderio inespresso, l’inconscio che dialoga con l’assoluto. E si manifesta quando ne puoi fare buon uso.
Scardina, trascina, rivolta.
Il mio corpo, un campo arato che riporta alla luce il profondo nascosto, spavento e finalmente respiro.
Forgiveness I’m frightened to deserve

Ho incrociato me stesso nei tuoi gesti
L’amore ricevuto, intenso, la colpa, la gelosia, l’impotenza, l’assenza di parole per dire ciò che sentivo, per chiedere, per sentire
La paura, rafforzata dalla mancanza di parole per pronunciarla, per denunciarla, per condividerla
Sono forte, ma la mia debolezza è la mia verità.
Oggi vivo, di nuovo
Is it time for forgiveness

Qui se volete un trailer dello spettacolo!

Se vi capiterà di incontrare sulla vostra strada questo spettacolo, non perdetelo. Non avrà con voi lo stesso effetto che ha avuto con me, ma non importa. quello che davvero è importante è la possibilità di sentire e di vivere , anche di uscirne dopo dieci minuti. Scegliere, cioè, di sperimentare qualcosa, senza paura e pregiudizi.

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la poesia non significa, è

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Io adoro Ungaretti.
Non solo per le sue poesie.
O per le sue riflessioni.
Sulla letteratura, sull’uomo, sulla società.
Non solo perché ha vissuto alcuni anni in Brasile, insegnando all’Università di San Paolo, città a me molto cara.

Mi affascina il suo modo di muovere le mani.
Di misurare le parole.
Di esprimere con tutto il corpo quello che vuole comunicare.
O anche quello che vorrebbe ma non può.

In questa intervista, per esempio, dopo la domanda lunga, ridondante e troppo pignola, fa una pausa, cerca le parole per rispondere e subito pensi: ma che domanda del cavolo!
Poi l’intervistatore continua chiedendogli “ma oggi, il procedimento normale” (e di nuovo pensi a come sia possibile ridurre a normale un procedimento creativo) e lui:

… ma non si sa come avviene, così d’un tratto, un’idea, e poi questa idea vi tormenta, scrivete qualcosa poi vi torna ancora e poi continuate… A volte è un lavoro lungo, a volte è un lavoro che si fa in pochi momenti. “L’isola” (dal ”Sentimento del tempo) che è una poesia lunga, elaborata, è una poesia che mi è nata in una notte. Altre poesie brevissime mi richiedono sei mesi di lavoro. Non sono mai a posto.

Si seguono con l’orecchio, non si sa poi che cosa sia questo orecchio, perché l’orecchio va dietro al significato, al suono, a tante cose… insomma tutto deve finire col combinare, col dare la sensazione che si è espressa la poesia.

Ma non si è mai espressa veramente, si è sempre scontenti… si vorrebbe che fosse detto diversamente ma la parola… la parola…
La parola è impotente.
La parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi.
Mai, lo avvicina…”

La poesia non significa, è.

 

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Il fardello dell’uomo bianco

Nel 1899 Rudyard Kipling pubblica la poesia Il fardello dell’uomo bianco.
La poesia diventata un manifesto in difesa delle azioni di conquista dei popoli europei che, caricandosi il fardello del loro essere bianchi e occidentali, partivano spinti dalla necessità di adempiere alla loro missione: colonizzare gli altri popoli della terra.
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Noi bianchi, in quanto bianchi, superiori, gli altri inferiori.
Per quanti anni siamo stati educati secondo questa logica?
 
Quando parliamo di razzismo dovremmo prestare attenzione proprio a questa idea, al fardello che, più o meno coscientemente, sentiamo di portare sulle spalle.
Un fardello fasullo, una convinzione che dobbiamo abbandonare altrimenti sarà difficile modificare le nostre azioni.
 
Io lo sento questo fardello.
Quando vedo una persona con la pelle di un altro colore, dentro sento una voce che mi dice che il mio essere bianco è un motivo valido per sentirmi migliore, dalla parte giusta del mondo, più adeguato alla vita.
 
Eppure l’unica cosa che dovrei sentire è il privilegio dell’uomo bianco. La grande occasione che ho avuto di nascere con la pelle del colore più fortunato, in un paese che è posizionato in quella parte di mondo semplicemente più fortunata.
 
Un privilegio, un vantaggio… e io che uso ne voglio fare?
Uso il mio privilegio per chiamare scimmie le persone nere.
Oppure uso il mio privilegio per costruire incontri, scambi, relazioni cioè inclusione?
 

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Se fossimo capaci di ricordare…

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27 gennaio 2015

Se fossimo capaci di ricordare ci scoppierebbe il cuore, desidereremmo strapparcelo dal petto.
Per quel dolore insopportabile.
Se fossimo capaci di ricordare impazziremmo, la nostra mente perderebbe il senno.
Per l’impossibilità di comprendere una tale tragedia.
Se fossimo capaci di ricordare resteremmo tutti in silenzio perché ogni parola ci sembrerebbe un’offesa.
Ogni pensiero, anche il più delicato e il più rispettoso, un giudizio.
Se fossimo capaci di ricordare, ahimè, non permetteremmo al ricordo di trasformarsi in nostalgia.
Ah! Che dolore, che profonda e infinita tristezza.
Se avessimo la coscienza per ricordare… piangeremmo, forse saliremmo su un albero, alto, per vedere se l’orizzonte esiste ancora, costruiremmo, un sassolino dopo l’altro, una storia nuova, ci sveglieremmo, nel mezzo della notte, per ascoltare la voce del mondo, balleremmo per chi non può ballare più e canteremmo un canto triste, un canto di libertà.
Se fossimo capaci di ricordare, saremmo uomini ed è banale, lo so, ma faremmo di tutto perchè ciò non accadesse di nuovo.

From Schindler’s List

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